Vincenzo Nibali: l’uomo e l’atleta nell’intervista su “Vanity Fair”

    Il campione si confessa a Sara Faillaci, dalle prime pedalate in Sicilia, all’approdo in Toscana – “Il trionfo al Tour non lo definirei un exploit, vinco fin da ragazzino” – “Troppo clamore su Pantani, non credo faccia bene al ciclismo” – L’importanza della famiglia

    È sicuramente il personaggio del momento, il volto nuovo dello sport italiano. Vincenzo Nibali è diventato oggetto di attenzione per riviste non sportive, a dimostrazione che il personaggio ha colpito la fantasia di un popolo, quello italiano, che ha il ciclismo nel proprio bagaglio culturale. L’ultimo giornale che gli ha dedicato un ampio ritratto è Vanity Fair, con un articolo di Sara Faillaci in cui si racconta l’uomo e lo sportivo, da quando, da ragazzo ha dovuto “emigrare” per poter sfondare. Ne esce un quadro completo di un uomo-atleta che non si sottrae alle “domande” scomode (di politica come relative ai sentimenti), in cui racconta la sua vita di ciclista, le passioni, il rapporto con il ciclismo eroico e quello “maledetto” degli anni ’90 e 2000. E che riguardo a Pantani dice: “non credo faccia bene al ciclismo tornare a parlare della sua morte”.
    Non potendo pubblicare interamente l’articolo, invitiamo tutti gli appassionati a farlo sul numero di agosto di Vanity Fair. Di seguito riportiamo la sintesi di alcuni dei passaggi a nostro avviso più significativi.
    IL CEFFONE DI PAPÀ – “Ho avuto un momento di stanchezza: non mi andava di uscire in bici sempre solo o con lui (il papà, ndr). Quello che mi ha convinto a continuare non è stato un ceffone, ma il gruppo di coetanei vicini di casa, mio cugino in testa, che ha cominciato ad allenarsi con me…”
    LA TOSCANA – “Ero contento di trasferirmi perché realizzavo il mio sogno, ma il primo anno è stato duro: lasciavo la mia famiglia, la scuola, gli amici… L’anno dopo mi sono trasferito a casa di Francesco Carli, il mio direttore sportivo. Ho vissuto otto anni con loro, sono una seconda famiglia per me…”
    IL PONTE SULLO STRETTO – “Sarebbe utile allo sviluppo ma si può vivere anche senza…”
    POLITICA – “In Sicilia in questi ultimi anni c’è stato un cambiamento… A Messina è arrivato come sindaco Renato Accorinti, professore di scuola: grazie a lui abbiamo un centro pedonale e la pista ciclabile… Non voglio parlare di politica, ma ho apprezzato i messaggi di Renzi e del presidente Napolitano..”
    LA FAMIGLIA – “Con Rachele è stato un colpo di fulmine… ci capiamo: io le sue esigenze, lei il mio lavoro… L’inizio di stagione non è stato facile perché doveva nascere mia figlia e io ero preoccupato, avevo paura di non essere accanto a mia moglie nel momento del bisogno…”
    IL TOUR – “Fin da ragazzino ho sempre vinto: il Tour non lo definirei un exploit…”
    IL DOPING – “Oggi è cambiato tutto, anche grazie a chi si è pentito e ha contribuito a smantellare il sistema. La svolta c’è stata nel 2006, quando è stato introdotto il passaporto biologico. Noi ciclisti abbiamo accettato i controlli a sorpresa. Non è bello sentire suonare la porta alle sei del mattino e non poter neanche tornare in stanza ad avvertire tua moglie che sta dormendo. Non è bello ma si fa…”
    LO SQUALO – “E’ partito tutto da un mio amico, in Sicilia, che ha disegnato su uno striscione lo squalo dello Stretto, una specie piccola, che dalle nostre parti c’è davvero.”
    LA SQUADRA – “In squadra non sono un trascinatore: se gli altri scelgono di seguirmi è per quello che ho dimostrato di saper fare…”.
    Alla fine di questa intervista, che, ripetiamo, invitiamo a leggere completa sul mensile in edicola, si ha la sensazione che Vincenzo Nibali non rappresenti soltanto uno straordinario testimonial del ciclismo italiano, ma anche la speranza per il nostro Paese che primeggiare nel mondo è possibile.

    AU


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    Vincenzo Nibali: l'uomo e l'atleta nell'intervista su "Vanity Fair"

    Il campione si confessa a Sara Faillaci, dalle prime pedalate in Sicilia, all’approdo in Toscana – “Il trionfo al Tour non lo definirei un exploit, vinco fin da ragazzino” – “Troppo clamore su Pantani, non credo faccia bene al ciclismo” - L’importanza della famiglia

    È sicuramente il personaggio del momento, il volto nuovo dello sport italiano. Vincenzo Nibali è diventato oggetto di attenzione per riviste non sportive, a dimostrazione che il personaggio ha colpito la fantasia di un popolo, quello italiano, che ha il ciclismo nel proprio bagaglio culturale. L’ultimo giornale che gli ha dedicato un ampio ritratto è Vanity Fair, con un articolo di Sara Faillaci in cui si racconta l’uomo e lo sportivo, da quando, da ragazzo ha dovuto “emigrare” per poter sfondare. Ne esce un quadro completo di un uomo-atleta che non si sottrae alle “domande” scomode (di politica come relative ai sentimenti), in cui racconta la sua vita di ciclista, le passioni, il rapporto con il ciclismo eroico e quello “maledetto” degli anni ’90 e 2000. E che riguardo a Pantani dice: “non credo faccia bene al ciclismo tornare a parlare della sua morte”.
    Non potendo pubblicare interamente l’articolo, invitiamo tutti gli appassionati a farlo sul numero di agosto di Vanity Fair. Di seguito riportiamo la sintesi di alcuni dei passaggi a nostro avviso più significativi.
    IL CEFFONE DI PAPÀ – “Ho avuto un momento di stanchezza: non mi andava di uscire in bici sempre solo o con lui (il papà, ndr). Quello che mi ha convinto a continuare non è stato un ceffone, ma il gruppo di coetanei vicini di casa, mio cugino in testa, che ha cominciato ad allenarsi con me…”
    LA TOSCANA – “Ero contento di trasferirmi perché realizzavo il mio sogno, ma il primo anno è stato duro: lasciavo la mia famiglia, la scuola, gli amici… L’anno dopo mi sono trasferito a casa di Francesco Carli, il mio direttore sportivo. Ho vissuto otto anni con loro, sono una seconda famiglia per me…”
    IL PONTE SULLO STRETTO – “Sarebbe utile allo sviluppo ma si può vivere anche senza…”
    POLITICA – “In Sicilia in questi ultimi anni c’è stato un cambiamento… A Messina è arrivato come sindaco Renato Accorinti, professore di scuola: grazie a lui abbiamo un centro pedonale e la pista ciclabile… Non voglio parlare di politica, ma ho apprezzato i messaggi di Renzi e del presidente Napolitano..”
    LA FAMIGLIA – “Con Rachele è stato un colpo di fulmine… ci capiamo: io le sue esigenze, lei il mio lavoro… L’inizio di stagione non è stato facile perché doveva nascere mia figlia e io ero preoccupato, avevo paura di non essere accanto a mia moglie nel momento del bisogno…”
    IL TOUR – “Fin da ragazzino ho sempre vinto: il Tour non lo definirei un exploit…”
    IL DOPING – “Oggi è cambiato tutto, anche grazie a chi si è pentito e ha contribuito a smantellare il sistema. La svolta c’è stata nel 2006, quando è stato introdotto il passaporto biologico. Noi ciclisti abbiamo accettato i controlli a sorpresa. Non è bello sentire suonare la porta alle sei del mattino e non poter neanche tornare in stanza ad avvertire tua moglie che sta dormendo. Non è bello ma si fa…”
    LO SQUALO – “E’ partito tutto da un mio amico, in Sicilia, che ha disegnato su uno striscione lo squalo dello Stretto, una specie piccola, che dalle nostre parti c’è davvero.”
    LA SQUADRA – “In squadra non sono un trascinatore: se gli altri scelgono di seguirmi è per quello che ho dimostrato di saper fare…”.
    Alla fine di questa intervista, che, ripetiamo, invitiamo a leggere completa sul mensile in edicola, si ha la sensazione che Vincenzo Nibali non rappresenti soltanto uno straordinario testimonial del ciclismo italiano, ma anche la speranza per il nostro Paese che primeggiare nel mondo è possibile.

    AU


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