“Una finestra sulla storia del ciclismo femminile in Italia”. La storia del ciclismo femminile italiano, e, più in generale del rapporto delle donne con la bicicletta nel nostro paese è il tema affrontato da Antonella Stelitano
La storia del ciclismo femminile italiano, e, più in generale del rapporto delle donne con la bicicletta nel nostro paese è il tema affrontato da Antonella Stelitano nel libro “Donne in bicicletta. Una finestra sulla storia del ciclismo femminile in Italia”.
Trevigiana, giornalista e soprattutto storica dello sport, la Stelitano mette nero su bianco un racconto che non è solo sportivo ma anche di emancipazione femminile. Un percorso che si snoda da fine Ottocento ai giorni nostri letto attraverso le vicende di donne che, sfidando pregiudizi e luoghi comuni, hanno deciso di inforcare una bicicletta e lanciare così la loro sfida personale.
“Il rapporto tra donne e bicicletta – spiega l’Autrice – anche nel nostro Paese non è mai stato, infatti, solo una vicenda sportiva, perché i chilometri percorsi da tante “ragazze sprint” hanno consentito di fare molta strada anche nel cammino dell’emancipazione. Un cammino che forse ancora oggi non si è completamente realizzato. Sono state tante, infatti, le pioniere e le eroine che, superando mille difficoltà, ieri come oggi, si sono misurate in questo sport, ottenendo risultati straordinari al pari dei colleghi uomini, ma delle quali poco si è parlato e si parla. A volte nemmeno si conoscono i loro nomi”.
Per questo la Stelitano parte da lontano. Da quando le prime donne, soprattutto donne nobili o comunque di famiglie alto locate, gradivano cimentarsi nelle prime passeggiate in bicicletta, mezzo allora ritenuto di gran moda e uno status symbol, come attesta l’abitudine di farsi ritrarre in fotografia in posa vicino a una bicicletta in bella mostra. Ma la storia non ha riservato solo sorrisi alle prime pioniere. Molte furono infatti le obiezioni morali, mediche e legate al nuovo abbigliamento che rischiava di essere troppo rivoluzionario per il tempo giacche ambiva a sostituire alle gonne i pantaloni o, come allora veniva chiamato, il “rational costume”.
L’idea di un libro come questo è venuta a Ivano Corbanese, vicepresidente del Comitato Regionale Veneto della Federciclismo. “E’ stato lui – racconta l’Autrice – che, dopo aver visto alcuni miei lavori su donne e sport, mi ha suggerito di raccontare le imprese delle cicliste. E’ stata una vera e propria sfida. Pensavo che in sei mesi avrei potuto completare il lavoro, invece ci sono voluti tre anni perché mi sono accorta subito che non c’erano libri, ricerche, materiali. Delle donne cicliste semplicemente non si occupava nessuno. Per questo è stato indispensabile l’aiuto di tante protagoniste del passato e del presente, che si sono messe a disposizione e si sono raccontate rendendomi partecipe delle loro vite straordinarie. Dalla prima all’ultima ciclista incontrata, tutte hanno accolto con entusiasmo l’idea di contribuire a questo libro e lo hanno fatto con dovizia di particolari, e con la stessa emozione di quando molte di loro, anche più di mezzo secolo fa, gareggiavano. Sono donne che sanno di avere una marcia in più e lo hanno dimostrato”.
Ciò che emerge dalla lettura di questo lavoro non è solo la minuziosa ricostruzione della storia di questo sport al femminile all’interno dei nostri confini nazionali, ma anche il ruolo delle donne in bicicletta in contesti diversi da quello agonistico: le donne staffette partigiane, le donne lavoratrici negli anni della Ricostruzione, le donne che ricoprono ruoli di leadership nel ciclismo, fino agli attuali progetti di emancipazione legati proprio all’uso di questo nuovo mezzo. Una visione a 360° dell’universo bici al femminile, dove non sono mancate le sorprese e gli aneddoti, davvero curiosi, su tanti episodi.
“Uno degli aspetti, ad esempio, che mi ha maggiormente colpito è stato la totale assenza di interesse da parte della stampa, anche quella specializzata. Ci sono stati giornalisti che hanno definito le cicliste “il terzo sesso” o addirittura “ripugnanti” quando non matte, stravaganti, indecenti,. Ci sono donne che negli anni ‘60 hanno perso il posto di lavoro, licenziate perché il loro titolare ne aveva letto il nome nell’ordine di arrivo di una gara. Altre a cui il medico non rilasciava il certificato di idoneità sportiva perché si pensava che chi praticava il ciclismo agonistico potesse rischiare di non aver figli. Insomma, davvero una marea di ostacoli, di insulti, di sbeffeggiamenti. Per questo raccontare la loro storia alla fine è stato dare voce a una parte della storia dello sport di questo Paese che era stata nascosta e dimenticata. Anche per questo ho voluto dedicare maggiore attenzione alle cicliste vissute in anni in cui non c’era per loro alcuna visibilità. Mi sembrava in qualche modo dovuto, considerando che per le campionesse di oggi basta “googlare” un po’ per conoscere tutto di loro”.
– C’è una ciclista che ricorda più di altre?
“Tutte quelle che ho conosciuto sono donne straordinarie. E’ stata un’esperienza umana bellissima. Se devo però scegliere una frase scelgo quella di Fabiana Luperini, grandissima campionessa, che quando ha saputo del mio progetto mi ha detto: Ma chi te lo ha fatto fare?. Come potevo non raccogliere la sfida? “
Per info e acquisti: https://www.ediciclo.it/libri/dettaglio/donne-in-bicicletta/
Il libro è disponibile anche in tutte le librerie on line
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