E’ scomparso, all’età di 87 anni, uno dei quattro ‘cavalieri’ protagonisti dell’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Roma (Arienti, Vigna, Testa e Vallotto).
Ciclismo azzurro in lutto. È morto nella notte del 7 febbraio a Desio, in Brianza, Luigi Arienti, uno dei quattro cavalieri che conquistarono lo straordinario oro olimpico dell’inseguimento a squadre all’Olimpiade di Roma 1960. Aveva 87 anni. Quella formazione era composta da Marino Vigna, Franco Testa (gli unici ancora in vita), Mario Vallotto e appunto Luigi Arienti.
Dal bel profilo realizzato da Marco Pastonesi su Tuttobiciweb: “Luigi Arienti sorrideva alla vita. Il primo sorriso ciclistico fin dalla prima corsa: Angelo, il fratello maggiore, che organizza la gara, invita Luigi e gli presta una bici, e Luigi, che al traguardo batte Angelo in volata. Quinto di sei fratelli (cinque fratelli e una sorella), esordiente, allievo, dilettante, il 1960 è l’anno d’oro – il Luigi d’oro – del Luisìn, campione lombardo e laziale su pista e nel cross, primo ai Giochi del Mediterraneo su pista, primo nel Trofeo Alcide De Gasperi su strada, e ai Giochi olimpici di Roma primo nel quartetto dell’inseguimento su pista (con una Colnago mascherata, ed è anche la prima medaglia d’oro per l’infinita storia d’oro della Colnago). “Il premio per gli olimpionici è una Fiat 500 verdina. La ritiriamo, io e il Maestro, e ci sfidiamo: da Desio a Monza, io a destra, lui a sinistra, io mezzo sulla ghiaietta, lui mezzo sulla corsia di sorpasso, pronti-via, vince lui”. Il Maestro è Giacomo Fornoni, oro a Roma nel quartetto della cento chilometri su strada: “Un giorno – mi racconta il Maestro – su quella Fiat 500 verdina siamo su io e il Luisìn. Pigio sul pedale di destra. ‘Attento, c’è una curva’. Troppo tardi: ci cappottiamo. ‘Possibile – dico al Luisìn – che non riusciamo a fare questa curva a 70 all’ora?’. ‘Giusto – mi fa eco il Luisìn – possibile che non ce la facciamo?’. Usciamo, giriamo la 500, torniamo indietro, rifacciamo la curva, pigio sul pedale di destra, 70 all’ora, riproviamo la stessa curva e ci ribaltiamo. Non è più una 500: a forza di prendere botte, si è rimpicciolita. Forse è diventata una 400…
Il capolavoro in una tappa della Parigi-Nizza 1962: “Pioggia, vento, freddo. Io e il Maestro carichi a dovere per attaccare insieme fin dalla partenza. Chi tenta di seguirci, lo minacciamo: ‘Andate via, questa è roba di famiglia’. Via come treni, da soli, come se fosse il Trofeo Baracchi, un quarto d’ora di vantaggio sul gruppo. ‘Dove sono gli altri?’, chiedono i tifosi lungo la strada. ‘C’è stato uno sterminio – annunciamo – tornate pure a casa’. Albani si raccomanda di mangiare, la tappa è lunga, il tempo brutto, la solitudine faticosa. Poi, imprevisti, 35 chilometri di strada in più. E qui ci assale una cotta tremenda. Come se non bastasse, foro. ‘Luisìn, dai che ti aiuto a cambiare la ruota’, mi fa il Maestro, che non vede l’ora di scendere dalla bici e tirare il fiato. ‘No, no, va’ all’arrivo, vinci anche per me’, lo incoraggio. Altroché. Il Maestro fa ancora qualche chilometro, poi delira, entra in un casolare, implora da mangiare, viene caricato su un cellulare, finisce in albergo. Io tengo duro, arrivo al traguardo un’ora e mezzo dopo il primo, entro in un panificio e divoro l’impasto senza lievito”.
Riportiamo di seguito l’intervista realizzata a Marino Vigna in occasione dei 60 anni delle Olimpiadi di Roma nella quale si ricorda anche quella storia giornata che vide il nostro inseguimento ancora una volta sul podio olimpico.
Il presidente Dagnoni esprime, a nome della grande famiglia del ciclismo, i sensi del più profondo cordoglio alla famiglia.
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